si fa presto a dire pellegrinaggio

“Mi ami tu?”
Decido di andare, ci ripenso, ridecido, vado, non vado, vado. Parte l’organizzazione: chi viene, come andiamo, a che ora, no troppo presto, no troppo tardi, dove ci vediamo, lui non viene più, mannaggia, cambio di programma, lei arriva da Londra apposta, cavoli! E io mi facevo problemi. Ok forse ce la facciamo… più o meno…
Rossano si fa cinquanta chilometri in macchina per raccattarci e ci offre pure il gelato.

“Mi ami tu?”
Stadio. Servizio d’ordine. Niente pass ancora. Stai fuori. Sole a picco. Panchina all’ombra in vista! “Dove andate?!! Non si entra!”. Spieghiamo. Solo per questa volta. Finalmente pass. Stadio vuoto. Briefing.

“Mi ami tu?”
Guardo la borsa e maledico di essermi portato più del necessario. Appunto mentale per il futuro. Dal briefing ho la certezza che tutto sarà quasi uguale alle altre volte. Wow. Penso già a recuperare le foto degli anni passati, tanto… Però telefonerà il Papa. Ah bene. E come la fotografo una telefonata? Volevo fare il servizio della vita e invece…

“Mi ami tu?”
Giro un po’ tra le persone dell’organizzazione e guardo. Osservo. Assorbo. Un saluto. Un sorriso. Molti sorrisi. Efficienza. Prove. Una signora fa il sacerdote: se vado qui te devi andà dde là. Ogni tanto porto all’occhio la camera e scatto. Ognuno fa il suo piccolo passo. Ognuno risponde, cosciente o meno.

“Mi ami tu?”
Lo stadio si riempie a poco a poco, incontro amici, un saluto, un abbraccio, come stai, bene. Così così. Un problema grande in famiglia. Non prego più. Sono qui per capire. La folla aumenta. File per la confessione, file per i bagni. Privacy al minimo sindacale. La domanda è al singolare: “TU”, non “voi”….
Scatto. Penso. Guardo. Meglio che pensare. Scatto ancora. Stormi di fotografi volteggiano, si aggregano, preoccupazioni di inquadratura, tempo e diaframma. Mi allontano. Ho perso il numero delle volte che ho fatto il giro dello stadio, se mi fermo non vedo. Sono già stanco e ancora non è cominciato.

“Mi ami tu?”
Corre la fiaccola. La fermano. La voce del Papa. Ancora la domanda, ma in due sensi. Da pensare. Ma il tempo è poco, le cose accadono. Guardare. Scattare. Riparte il fuoco e accende il grande braciere.
La voce del Vescovo. Da quello che dice sembra abbia parlato con tutti qui, anzi con ciascuno, anche con l’amico con la famiglia in difficoltà. Anche con me. Eppure guardavo, mica l’ho visto qui attorno.…

“Mi ami tu?”
La grande croce viene consegnata e scappa dallo stadio. Confusione. Non spingete. Catene umane di corsa. La croce è già fuori portata dei più. Fuori, nel buio. Lo stadio si svuota in pochi minuti. Mi siedo, mi rialzo subito. Aspetto mentre si definiscono gli equipaggi. E’ iniziata la notte. Residui di organizzazione. Stanchezza e facce contente. Attenzione a tutti. Ancora. Ti senti male? No sto solo riposando. Sorriso.

“Mi ami tu?”
Saliamo in macchina. Scambiamo battute. Il lavoro, la famiglia. Un po’ di ciascuno. Il “papà inglese” convertito e presente al pellegrinaggio. Operato al ginocchio da poco. I messaggi sul telefono. Ancora sorrisi. I figli adolescenti da crescere. Si fa quello che si può. Le parole sono poco utili. Stare. Guardare.
Una tappa dopo l’altra si scende e si risale. Si aspetta. Tanto. Fa freddo. Guardo. Scatto. Gente per strada. Curiosità. Idiomi sconosciuti. Passano i disabili prima degli altri. Ognuno di loro è un gruppo compatto di amici. Sorrisi. I lacci tirano le sedie a rotelle. Spariscono nel buio. Arriva la croce. E’ solo un momento. Ciascuno scrive le proprie intenzioni su un foglietto passandoci a turno la penna. La calligrafia ed il pensiero compiuto risentono della fatica. Si cerca di non dimenticare nessuno. Non riuscirei a leggere io quello che ho scritto, ma la Signora sa già tutto. Metto in tasca.

“Mi ami tu?”
Siamo un gruppo di occhi che sta insieme e si scambia qualcosa da mangiare. Osserviamo, cerchiamo. La stanchezza si fa sentire. I piedi chiedono di essere sollevati ma dovranno aspettare. Canti in lontananza. Passano i minuti. Arrivano. Le fiaccole. Il lungo fiume acceso. Scorre e passa veloce verso Loreto. Fermi con noi le ambulanze e la forza pubblica. Lì per lavoro e comando. Guardano. Qualcuno partecipa silenziosamente alla preghiera. La stanchezza passa in un momento, solo il tempo di qualche scatto. Poi di nuovo in macchina. Corriamo a piedi per la foto migliore. Non riusciamo. Per attraversare la strada dobbiamo camminare per un po’ con loro, entrare nella corrente. Nessuno si innervosisce quando gli spezzi per un attimo il passo. Un gesto di scusa, un sorriso.

“Mi ami tu?”
E’ mattina ormai, crolliamo a sedere sul primo gradino che troviamo nel centro di Loreto. Aspettiamo. Facce distrutte. Occhi pieni. Sembra che non arrivino mai. Poi il tempo di uno, due scatti e devi spostarti per non essere travolto. La piazza. Metto il mio foglietto sgualcito e illeggibile nel cesto che una signora mi porge insieme a mille mani che mi accerchiano ovunque. Mi sfilo cercando di tornare indietro. Impossibile. Sfuggo a malapena dal flusso inarrestabile. Sorridono ancora. Nei visi la fatica. I cuori pieni. Da un lato un frate felice scaraventa acqua benedetta sulla folla e fa piovere con il sole.

I foglietti, a centinaia, bruciano e il fumo di tutti, anche il mio, sale verso l’alto. Lo osservo, sorrido e mi viene da piangere. Sarà la stanchezza….

“Mi ami,… TU?”

 

Michele C.
Marco T.
Riccardo S.
Anna A.

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